venerdì 2 novembre 2012


 

-NEVE-
Il Ministero degli Interni ha diramato il seguente comunicato: “Eventi atmosferici come quello che sta per invadere l’Italia accadono una volta ogni trent’anni.” È giovedì 9 febbraio 2012 e già da una settimana, l’Italia è stata invasa da una spaventosa perturbazione nevosa. Colpito soprattutto il centro Italia e l’Emilia-Romagna. Io abito in Emilia, precisamente in un paese della provincia di Ferrara e sono a casa in una mutua simulata. La situazione reale è la seguente: da mercoledì 1° febbraio, data della prima nevicata, una nevicata tosta – 30/40 cm belli e buoni - io sono a casa. Scuole chiuse per neve e io, lavorando a scuola, sono stato forzatamente costretto a starmene a casa. Forzatamente non più di tanto, visto che la neve, a me fa paura, una paura talmente profonda che rasenta quasi l’ossessione, in un certo senso il fascino. Intimorito e affascinato dalla neve. La neve la temo per l’insicurezza che mi trasmette, il fatto che non si sa bene quando inizi e quando finisca. E poi tutto quel bianco, che porta l’illusione che tutte le cose siano candide, pulite, linde nel senso più profondo del termine. Tutto il bianco della neve è una colossale presa per il culo e io c’ho il radar per le prese per il culo.  

Poi le strade sono un casino, c’è il ghiaccio, e si, insomma, meglio il caldo, meglio l’estate, anche se poi c’è l’afa ma sei più libero e crea una socialità differente.

Gennaio 2004. Io in quel periodo lavoravo in una casa Editrice come redattore ed ero il più giovane - uno da mettere sotto - uno a cui bisognava insegnare il mestiere. Ecco perché oltre a scrivere sulle riviste di mia competenza, ovvero quelle legate al tatuaggio, il mio capo, vale a dire l’editore, mi spediva il giro per l’Italia a fare reportage per eventi di carattere storico. Mi ricordo come fosse ora quel martedì mattina, verso mezzogiorno, in cui dal mio ufficio ricevetti la telefonata del mio capo che mi comunicava che la mattina successiva sarei partito per Assisi con il compito di stendere un reportage su un evento storico chiamato Calendimaggio. Dovevo incontrare il Vice Sindaco e l’Assessore alla Cultura del Comune di Assisi, si doveva cenare e loro mi dovevano raccontare che cosa fosse il Calendimaggio. In cambio di un bell’articolo da me redatto sulla rivista di argomento storico della casa editrice presso cui lavoravo, loro avrebbero comprato una bella pagina pubblicitaria. Soldini in entrata belli e buoni per una rivista che sostanzialmente non vendeva un cazzo e di conseguenza non leggeva nessuno. Comunque arrivo ad Assisi, città incantevole, conosco i tipi, parliamo, registro tutto con il mio registratore portatile, loro mi danno VHS con filmati delle passate edizioni – che io ovviamente accetto ma so già che non guarderò mai -  si cena e bene a base di carne buonissima, funghi e tartufo, ottimo vino rosso ad innaffiare il tutto e alla fine della cena mi accompagnano nel bed and breakfast che hanno prenotato per me, a loro spese. A conti fatti quella giornata è stata bella, ho conosciuto persone squisite, ho mangiato divinamente, sto alloggiando in una bella stanza e non ho speso un soldo. In cambio di tutto ciò loro vogliono che io parli bene del Calendimaggio sul mio giornale. Una cosa che a me riesce sostanzialmente facile. Circa 1h di lavoro.

Ricordo di aver dormito bene quella notte, e di essere stato svegliato da un raggio di sole che intruffolatosi dagli scuri delle finestre mi accarezzava le sopraciglia. Ricordo di aver fatto un ottima colazione e di essere andato a far visita alla Basilica di San Francesco. Un luogo straordinario, un luogo dove la spiritualità la si odora nell’aria e profuma di buono, profuma di natura.

Parto da Assisi con calma alle 12:15 a.m. e il viaggio in autostrada scorre via tranquillo anche se a mano a mano che mi avvicino alla Toscana abbandonando di conseguenza l’Umbria, abbandono anche il sole ed accolgo forzatamente un grigiore del cielo che non promette nulla di buono. A rafforzare questa ipotesi ci sta il fatto che le macchine che procedono dalla corsia opposta, quindi che dalla Toscana arrivano in Umbria sono cariche di neve. Ecchecazzo penso: un pochino di neve che male può fare. Poi il viaggio procede e arrivo a Firenze sud e c’è un autogrill e penso che un panino ci potrebbe pure stare ma poi mi viene in mente il problema neve e tiro dritto. Tiro dritto per 1 km appena e poi mi fermo. Colonna di macchine. Giorno infrasettimanale, quindi perché così traffico, mi chiedo.

14:00 Sono lì fermo. E inizia a nevicare. Forte. E nevica per ore. Una, due, tre, quattro ore di neve e io come centinaia di altri automobilisti sono lì fermo. E non mi muovo e nessuno sa nulla. L’epoca degli smartphone con connessione ad internet mobile è ancora lontane, le uniche notizie arrivano dalla radio e la radio in questa cazzo di macchina non c’è. Quindi il senso di abbandono che provo da quell’istante è un granello si sabbia che progressivamente si trasforma in un masso e poi in una mantagna.

17:00 p.m. Da ormai tre ore buone sono fermo sotto alla tormenta. Scendo e mi fumo una sigaretta con altri automobilisti e chiedo informazioni in merito. Quei visi sconosciuti, impauriti come il mio, diventano istantaneamente amichevoli. I visi sconosciuti e amichevoli dicono che l’Appennino è bloccato per neve. Che è impercorribile. Inizio ad agitarmi. Una ragazza, scende dalla sua Renault Clio ed urina ad un lato della strada. Scene di ordinaria sopravvivenza. Inizia a fare davvero freddo ed io non so che cazzo fare anche perché non c’è un cazzo da fare se non aspettare, ma intanto è arrivato il buio e il clima da lupi è un dato di fatto inconfutabile. Accendo la macchina ogni mezz’ora, la tengo in moto per circa dieci minuti e poi la spengo. Ci mancherebbe solo che restassi senza benzina qui in mezzo.

20:15 p.m.  Da più di sei ore bloccato in una macchina sotto ad una tormenta di neve e lontano da casa. Troppo lontano. Inizio ad avere fame e penso che per fortuna la colazione che ho fatto ad Assisi era abbondante e quindi mi ha permesso di saltare il pranzo. Saltare il pranzo forzatamente.

22:00 p.m. Qualcosa si muove ed inizia l’altro delirio. L’autostrada è chiusa per neve e devo cercarmi da dormire a Firenze. Io come centinaia da altri automobilisti. Inizia la corsa alla ricerca di una camera. Chiamo e richiamo ma è tutto pieno. Alla fine ne trovo una che solo per dormire mi chiede quasi 150 euro che non sono pochi ma accetto. E quindi il tipo alla reception mi dice la via dove si trova l’albergo, scazzo strada parecchie volte, richiamo la reception e risponde un altro tipo, rispiego ma non sono lucido evidentemente: stanco, impaurito ed affamato. Arrivo davanti all’Hotel e il portiere mi dice che il loro parcheggio è sotterraneo, distante dall’Hotel pochi minuti, vicino alla Fortezza da Basso. Ci arrivo compiendo almeno 5 infrazioni e poi parcheggio sottoterra e sono solo e mi avvio all’Hotel fumandomi una sigaretta. Penso che questa passeggiata se vicino a me ci fosse Gianna sarebbe bellissima. Noi due soli a Firenze, reduci da ore di paura. Una camera tutta per noi. Ci stringeremmo sul letto senza di parole. Arrivato in camera mi butto sul letto e dormo all’istante: sognando Gianna, il mare, una barca a vela e un monaco tibetano. Da quel momento, il mio rapporto con il viaggio lungo o corto che sia e con la neve e drasticamente cambiato.   

Ascolto il comunicato del Ministero sulla nevicata che sta per giungere, stravaccato sul mio letto. “Infinite Jest” di David Foster Wallace al mio fianco. Una nevicata – dicono - che arriva ogni trent’anni e penso che al prossimo giro, ossia al prossimo evento terrificante che accadrà tra trent’anni, io avrò 65 anni e morirò proprio a causa della neve. È un pensiero che ci mette un nanosecondo a giungere e ci trovo pure una certa coerenza. Mi terrorizza e mi affascina questo pensiero.

Penso che se già adesso il mondo in cui viviamo fa schifo per l’ingiustizia, la crudeltà e l’avarizia di alcuni nei confronti di altri, beh, tra una trentina d’anni sarà qualcosa di vomitevole.

Penso che se ora siamo schiavi dei social network, nel senso che i cazzi di molti sono alla mercé di tutti proprio sui social network e chi non mette i cazzi propri va a curiosare i cazzi altrui, tra una trentina d’anni i social network governeranno gli Stati o magari non ci saranno neanche più gli stati come noi oggi li conosciamo ma una mandria di community virtuali nelle quali potrai essere chi cazzo ti pare che tanto non ti conosce nessuno di persona, perché i rapporti umani saranno ridotti a nulla. Non esisteranno più i ristoranti ma solo distributori elettronici di cibi e ci si vestirà con divise dai colori sgargianti e non esisteranno più i libri ne i pc portatili ma solo tablet e i bambini saranno schiavi dei loro tablet e delle app che gli creeranno deficit dell’attenzione e dislessia. La pornografia sarà sostituita dall’epilessia in pillole. Una nuova droga, la droga delle community, finanziata da ricchi magnati. Una droga. L’unica in grado di rendere vivi, fra trent’anni. Scariche potentissime di elettricità nel cervello lesso da deficit dell’attenzione. Il sesso e l’amore saranno cose superate. Si concepirà solo in provetta per paura delle malattie e perché comunque non ci sarà tempo e luoghi per farlo visto che le persone vivranno all’interno di una sola stanza, una stanza che ai giorni nostri era concepita come un bagno, con lavandino, doccia, water e bidet, mentre tra trent’anni, quelli che noi definiamo bagni, saranno delle vere e proprie case, monolocali con il riscaldamento a pavimento e una scatola piena zeppe di barrette alimentari proteiche aromatizzate agli antichi sapori dei cibi che non esisteranno più.

Si defecherà una volta a settimana tra trent’anni e tutti porteranno degli occhiali da sole per via della luce troppo forte. Il cinema morirà definitivamente e sarà sostituito dallo streaming. Paura e disgusto.

In terza superiore facevo “fuga”.

“Fuga” è l’italianizzazione del termine dialettale “Fughen” e dalle mie parti significa saltare la scuola per andare a passare la mattinata da qualche parte, in un bar, in un parco pubblico o in giro per una città. La terza superiore l’ho fatta a Molinella, un paese del cazzo a 7 km da casa mia. E in un paese del cazzo non può non esserci che una scuola del cazzo. Beh, ragioneria a Molinella era decisamente una scuola del cazzo: zero stimoli, zero insegnanti interessanti: zero, zero, zero.

Io ogni volta che arrivavo davanti al portone, ogni benedetta mattina, ero preso da un angoscia talmente forte che non riuscivo ad entrare e convincevo il Bigna, il mio amico nullafacente metallaro Bigna, colui al quale potevo far fare qualsiasi cosa, a fare “fuga” e andare in treno a Bologna. E giravamo per Bologna, andavamo da Underground ad ascoltare i CD. Bologna allora era meravigliosa e credetemi se vi dico che una giornata a Bologna valeva come un mese di scuola in quella cazzo di scuola. Bologna era straordinaria per tante ragioni, una delle quali riguardava i personaggi stravaganti che si addensavano sotto i portici di via Indipendenza. Erano gli anni ’90 che per me significavano Nirvana, Alice in Chains, Jane’s Addiction, Porno for Pyros, Nine Inch Nails. Erano gli anni delle camicione a quadri da boscaiolo e degli anfibi e delle All Star. Erano gli anni senza uno straccio di ragazza, con i libri di Tondelli e De Carlo che mi facevano sognare e viaggiare. Erano gli anni di Videomusic. Erano gli anni del Burgy, con i suoi hamburger al Bacon, erano gli anni del cinema: Dio mio quanto cinema. Visto nel mio salotto, per i fatti miei. Rigorosamente in VHS. Erano gli anni in cui la giornata ti cambiava se beccavi il video giusto su MTV. E non esistevano mezze misure. E non esistevano i cellulari. E tutto era più facile da scrivere in un tema. Erano anni di caos, dove non avevo idea di chi cazzo ero. L’assenza di mio padre non era ancora stata metabolizzata. Capivo che mi mancava ma non potevo sapere che male avrebbe fatto su di me la sua assenza. Ecco perché andavo controcorrente. E mi rifugiavo in me stesso. E scappavo da scuola come una testa di minchia qualunque.



Erano gli anni dei sogni: l’Università a Bologna, il lavoro di regista: ne ero certo. Tutto sarebbe arrivato. E sarebbe arrivato quasi per caso. E io sarei stato famoso. Erano anni così. Anni di gel nei capelli e brufoli sul petto. Anni dei classici dell’erotismo. Anni dei film di Tinto Brass. Anni dei primi concerti: i Sonic Youth con Fabio, gli Ac|Dc col Bigna. Erano gli anni in cui giocavo a calcio per sentirmi parte di qualcosa, ma poi era atroce vedere i compagni con i loro padri e io Daniele, a cui era toccata la stessa mia sorte, da soli o perlopiù con sua madre. Erano gli anni del tennis, che è stato è e sarà sempre il mio sport preferito e che ogni sera prima di addormentarmi pregavo Dio di farmi diventare il più grande tennista di tutti i tempi. Erano gli anni in cui non avevo una camera da letto e dormivo con mia madre perché mia sorella e Riccardo – suo marito – si erano sposati e avevano avuto Lara e vivevano lì con noi. E l’assenza di mio padre era più sopportabile con loro che creavano caos e portavano sempre i loro amici. Erano gli anni delle “Notti Selvagge” di Ciyrill Collard. Un libro meraviglioso. Erano gli anni in cui scrivevo poesie. E leggevo Rimbaud.  

Uno di questi tipi, del quale non mi ricordo il nome ne il viso, un giorno, durante una di queste fughe lesse la mano a me e al Bigna. La prima cosa che mi disse è che sarei morto a 65 anni per un evento straordinario. Poi mi disse tante altre cose, alcune delle quali nel corso degli anni hanno trovato effettivo riscontro. Ecco perché quella prima, infelice frase – morirai a 65 anni – ha sempre risuonato nella mia testa come un dato di fatto. Ora, fuori nevica, sono quasi le 23:00 p.m. di sabato 11 febbraio 2012 e alla TV c’è un bizzarro programma dal titolo “Ballando con le Stelle”, un programma che assieme a Gianna, il sabato sera, quando si torna a casa da una cena o da un aperitivo è tanto bello e pieno di spunti per farci delle belle chiacchierate e rilassarci dallo stress della settimana lavorativa, o magari è il sottofondo di quando si fa all’amore mentre ora, qui, nella solitudine del mio divano, mi pare la più grande stronzata del mondo.        

 

 

1 commento:

  1. Wow!!! Grande Matte...un piacere leggere quello che scrivi, i miei complimenti!!! Saluti a Giovanni!!!

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