-NEVE-
Il
Ministero degli Interni ha diramato il seguente comunicato: “Eventi atmosferici
come quello che sta per invadere l’Italia accadono una volta ogni trent’anni.”
È giovedì 9 febbraio 2012 e già da una settimana, l’Italia è stata invasa da
una spaventosa perturbazione nevosa. Colpito soprattutto il centro Italia e
l’Emilia-Romagna. Io abito in Emilia, precisamente in un paese della provincia
di Ferrara e sono a casa in una mutua simulata. La situazione reale è la seguente: da mercoledì 1° febbraio, data
della prima nevicata, una nevicata tosta – 30/40 cm belli e buoni - io sono a
casa. Scuole chiuse per neve e io, lavorando a scuola, sono stato forzatamente
costretto a starmene a casa. Forzatamente non più di tanto, visto che la neve,
a me fa paura, una paura talmente profonda che rasenta quasi l’ossessione, in
un certo senso il fascino. Intimorito e affascinato dalla neve. La neve la temo
per l’insicurezza che mi trasmette, il fatto che non si sa bene quando inizi e
quando finisca. E poi tutto quel bianco, che porta l’illusione che tutte le
cose siano candide, pulite, linde nel senso più profondo del termine. Tutto il
bianco della neve è una colossale presa per il culo e io c’ho il radar per le
prese per il culo.
Poi le
strade sono un casino, c’è il ghiaccio, e si, insomma, meglio il caldo, meglio
l’estate, anche se poi c’è l’afa ma sei più libero e crea una socialità
differente.
Gennaio
2004. Io in quel periodo lavoravo in una casa Editrice come redattore ed ero il
più giovane - uno da mettere sotto - uno a cui bisognava insegnare il mestiere.
Ecco perché oltre a scrivere sulle riviste di mia competenza, ovvero quelle
legate al tatuaggio, il mio capo, vale a dire l’editore, mi spediva il giro per
l’Italia a fare reportage per eventi di carattere storico. Mi ricordo come
fosse ora quel martedì mattina, verso mezzogiorno, in cui dal mio ufficio
ricevetti la telefonata del mio capo che mi comunicava che la mattina
successiva sarei partito per Assisi con il compito di stendere un reportage su
un evento storico chiamato Calendimaggio. Dovevo incontrare il Vice Sindaco e
l’Assessore alla Cultura del Comune di Assisi, si doveva cenare e loro mi
dovevano raccontare che cosa fosse il Calendimaggio. In cambio di un bell’articolo
da me redatto sulla rivista di argomento storico della casa editrice presso cui
lavoravo, loro avrebbero comprato una bella pagina pubblicitaria. Soldini in
entrata belli e buoni per una rivista che sostanzialmente non vendeva un cazzo
e di conseguenza non leggeva nessuno. Comunque arrivo ad Assisi, città
incantevole, conosco i tipi, parliamo, registro tutto con il mio registratore
portatile, loro mi danno VHS con filmati delle passate edizioni – che io
ovviamente accetto ma so già che non guarderò mai - si cena e bene a base di carne buonissima,
funghi e tartufo, ottimo vino rosso ad innaffiare il tutto e alla fine della
cena mi accompagnano nel bed and breakfast che hanno prenotato per me, a loro
spese. A conti fatti quella giornata è stata bella, ho conosciuto persone
squisite, ho mangiato divinamente, sto alloggiando in una bella stanza e non ho
speso un soldo. In cambio di tutto ciò loro vogliono che io parli bene del
Calendimaggio sul mio giornale. Una cosa che a me riesce sostanzialmente
facile. Circa 1h di lavoro.
Ricordo di
aver dormito bene quella notte, e di essere stato svegliato da un raggio di
sole che intruffolatosi dagli scuri delle finestre mi accarezzava le
sopraciglia. Ricordo di aver fatto un ottima colazione e di essere andato a far
visita alla Basilica di San Francesco. Un luogo straordinario, un luogo dove la
spiritualità la si odora nell’aria e profuma di buono, profuma di natura.
Parto da
Assisi con calma alle 12:15 a.m. e il viaggio in autostrada scorre via
tranquillo anche se a mano a mano che mi avvicino alla Toscana abbandonando di
conseguenza l’Umbria, abbandono anche il sole ed accolgo forzatamente un
grigiore del cielo che non promette nulla di buono. A rafforzare questa ipotesi
ci sta il fatto che le macchine che procedono dalla corsia opposta, quindi che
dalla Toscana arrivano in Umbria sono cariche di neve. Ecchecazzo penso: un
pochino di neve che male può fare. Poi il viaggio procede e arrivo a Firenze
sud e c’è un autogrill e penso che un panino ci potrebbe pure stare ma poi mi
viene in mente il problema neve e tiro dritto. Tiro dritto per 1 km appena e
poi mi fermo. Colonna di macchine. Giorno infrasettimanale, quindi perché così
traffico, mi chiedo.
14:00 Sono lì
fermo. E inizia a nevicare. Forte. E nevica per ore. Una, due, tre, quattro ore
di neve e io come centinaia di altri automobilisti sono lì fermo. E non mi
muovo e nessuno sa nulla. L’epoca degli smartphone con connessione ad internet
mobile è ancora lontane, le uniche notizie arrivano dalla radio e la radio in
questa cazzo di macchina non c’è. Quindi il senso di abbandono che provo da
quell’istante è un granello si sabbia che progressivamente si trasforma in un
masso e poi in una mantagna.
17:00 p.m. Da ormai
tre ore buone sono fermo sotto alla tormenta. Scendo e mi fumo una sigaretta
con altri automobilisti e chiedo informazioni in merito. Quei visi sconosciuti,
impauriti come il mio, diventano istantaneamente amichevoli. I visi sconosciuti
e amichevoli dicono che l’Appennino è bloccato per neve. Che è impercorribile.
Inizio ad agitarmi. Una ragazza, scende dalla sua Renault Clio ed urina ad un
lato della strada. Scene di ordinaria sopravvivenza. Inizia a fare davvero
freddo ed io non so che cazzo fare anche perché non c’è un cazzo da fare se non
aspettare, ma intanto è arrivato il buio e il clima da lupi è un dato di fatto
inconfutabile. Accendo la macchina ogni mezz’ora, la tengo in moto per circa
dieci minuti e poi la spengo. Ci mancherebbe solo che restassi senza benzina
qui in mezzo.
20:15 p.m. Da più di sei ore bloccato in una macchina
sotto ad una tormenta di neve e lontano da casa. Troppo lontano. Inizio ad
avere fame e penso che per fortuna la colazione che ho fatto ad Assisi era
abbondante e quindi mi ha permesso di saltare il pranzo. Saltare il pranzo
forzatamente.
22:00 p.m. Qualcosa
si muove ed inizia l’altro delirio. L’autostrada è chiusa per neve e devo
cercarmi da dormire a Firenze. Io come centinaia da altri automobilisti. Inizia
la corsa alla ricerca di una camera. Chiamo e richiamo ma è tutto pieno. Alla
fine ne trovo una che solo per dormire mi chiede quasi 150 euro che non sono
pochi ma accetto. E quindi il tipo alla reception mi dice la via dove si trova
l’albergo, scazzo strada parecchie volte, richiamo la reception e risponde un
altro tipo, rispiego ma non sono lucido evidentemente: stanco, impaurito ed
affamato. Arrivo davanti all’Hotel e il portiere mi dice che il loro parcheggio
è sotterraneo, distante dall’Hotel pochi minuti, vicino alla Fortezza da Basso.
Ci arrivo compiendo almeno 5 infrazioni e poi parcheggio sottoterra e sono solo
e mi avvio all’Hotel fumandomi una sigaretta. Penso che questa passeggiata se
vicino a me ci fosse Gianna sarebbe bellissima. Noi due soli a Firenze, reduci
da ore di paura. Una camera tutta per noi. Ci stringeremmo sul letto senza di
parole. Arrivato in camera mi butto sul letto e dormo all’istante: sognando
Gianna, il mare, una barca a vela e un monaco tibetano. Da quel momento, il mio
rapporto con il viaggio lungo o corto che sia e con la neve e drasticamente
cambiato.
Ascolto il
comunicato del Ministero sulla nevicata che sta per giungere, stravaccato sul
mio letto. “Infinite Jest” di David Foster Wallace al mio fianco. Una nevicata
– dicono - che arriva ogni trent’anni e penso che al prossimo giro, ossia al
prossimo evento terrificante che accadrà tra trent’anni, io avrò 65 anni e
morirò proprio a causa della neve. È un pensiero che ci mette un nanosecondo a
giungere e ci trovo pure una certa coerenza. Mi terrorizza e mi affascina
questo pensiero.
Penso che
se già adesso il mondo in cui viviamo fa schifo per l’ingiustizia, la crudeltà
e l’avarizia di alcuni nei confronti di altri, beh, tra una trentina d’anni
sarà qualcosa di vomitevole.
Penso che
se ora siamo schiavi dei social network, nel senso che i cazzi di molti sono
alla mercé di tutti proprio sui social network e chi non mette i cazzi propri
va a curiosare i cazzi altrui, tra una trentina d’anni i social network
governeranno gli Stati o magari non ci saranno neanche più gli stati come noi
oggi li conosciamo ma una mandria di community virtuali nelle quali potrai essere
chi cazzo ti pare che tanto non ti conosce nessuno di persona, perché i
rapporti umani saranno ridotti a nulla. Non esisteranno più i ristoranti ma
solo distributori elettronici di cibi e ci si vestirà con divise dai colori
sgargianti e non esisteranno più i libri ne i pc portatili ma solo tablet e i
bambini saranno schiavi dei loro tablet e delle app che gli creeranno deficit
dell’attenzione e dislessia. La pornografia sarà sostituita dall’epilessia in
pillole. Una nuova droga, la droga delle community, finanziata da ricchi
magnati. Una droga. L’unica in grado di rendere vivi, fra trent’anni. Scariche
potentissime di elettricità nel cervello lesso da deficit dell’attenzione. Il
sesso e l’amore saranno cose superate. Si concepirà solo in provetta per paura
delle malattie e perché comunque non ci sarà tempo e luoghi per farlo visto che
le persone vivranno all’interno di una sola stanza, una stanza che ai giorni
nostri era concepita come un bagno, con lavandino, doccia, water e bidet,
mentre tra trent’anni, quelli che noi definiamo bagni, saranno delle vere e
proprie case, monolocali con il riscaldamento a pavimento e una scatola piena
zeppe di barrette alimentari proteiche aromatizzate agli antichi sapori dei
cibi che non esisteranno più.
Si
defecherà una volta a settimana tra trent’anni e tutti porteranno degli
occhiali da sole per via della luce troppo forte. Il cinema morirà
definitivamente e sarà sostituito dallo streaming. Paura e disgusto.
In terza
superiore facevo “fuga”.
“Fuga” è
l’italianizzazione del termine dialettale “Fughen” e dalle mie parti significa
saltare la scuola per andare a passare la mattinata da qualche parte, in un
bar, in un parco pubblico o in giro per una città. La terza superiore l’ho
fatta a Molinella, un paese del cazzo a 7 km da casa mia. E in un paese del
cazzo non può non esserci che una scuola del cazzo. Beh, ragioneria a Molinella
era decisamente una scuola del cazzo: zero stimoli, zero insegnanti interessanti:
zero, zero, zero.
Io ogni
volta che arrivavo davanti al portone, ogni benedetta mattina, ero preso da un
angoscia talmente forte che non riuscivo ad entrare e convincevo il Bigna, il
mio amico nullafacente metallaro Bigna, colui al quale potevo far fare
qualsiasi cosa, a fare “fuga” e andare in treno a Bologna. E giravamo per
Bologna, andavamo da Underground ad ascoltare i CD. Bologna allora era
meravigliosa e credetemi se vi dico che una giornata a Bologna valeva come un
mese di scuola in quella cazzo di scuola. Bologna era straordinaria per tante
ragioni, una delle quali riguardava i personaggi stravaganti che si addensavano
sotto i portici di via Indipendenza. Erano gli anni ’90 che per me
significavano Nirvana, Alice in Chains, Jane’s Addiction, Porno for Pyros, Nine
Inch Nails. Erano gli anni delle camicione a quadri da boscaiolo e degli anfibi
e delle All Star. Erano gli anni senza uno straccio di ragazza, con i libri di
Tondelli e De Carlo che mi facevano sognare e viaggiare. Erano gli anni di
Videomusic. Erano gli anni del Burgy, con i suoi hamburger al Bacon, erano gli
anni del cinema: Dio mio quanto cinema. Visto nel mio salotto, per i fatti
miei. Rigorosamente in VHS. Erano gli anni in cui la giornata ti cambiava se
beccavi il video giusto su MTV. E non esistevano mezze misure. E non esistevano
i cellulari. E tutto era più facile da scrivere in un tema. Erano anni di caos,
dove non avevo idea di chi cazzo ero. L’assenza di mio padre non era ancora
stata metabolizzata. Capivo che mi mancava ma non potevo sapere che male
avrebbe fatto su di me la sua assenza. Ecco perché andavo controcorrente. E mi
rifugiavo in me stesso. E scappavo da scuola come una testa di minchia
qualunque.